#cartapestai leccesi
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Raffigurazioni di San Giuseppe a Tutino di Tricase
di Fabrizio Cazzato
  A TE O BEATO GIUSEPPE
…stretti dalla tribolazione ricorriamo e fiduciosi imploriamo il tuo patrocinio insieme con quello della tua santissima sposa…
Questa ricorrente preghiera è una delle più antiche e più belle dedicate a San Giuseppe che spesso molti di noi hanno recitato in chiesa o ascoltato dalle nostre nonne e riportata su moltissimi libri di preghiera.
Quest’anno la Chiesa, per volere del Santo Padre Francesco, con lettera apostolica Patris Corde, ha voluto dedicare alla sua figura un periodo speciale di indulgenza plenaria fino all’8 dicembre c.a., in concomitanza del 150° anniversario della proclamazione di Patrono Universale della Chiesa avvenuta l’8 dicembre del 1870 dalle mani di Papa Pio IX.
Giuseppe, dall’ebraico Yosèf (che significa “accresciuto da Dio”), era un discendente della stirpe di David; accettò la maternità divina di Maria e rispose alla chiamata del Signore. Di lui abbiamo poche notizie storiche e a tratti lacunose. Sappiamo che svolgeva principalmente il lavoro di falegname nella sua bottega di Nazareth; la sua vita nascosta si svolse all’ombra del figlio Gesù e rivelò spirito di fedeltà, di povertà e di umiltà , ma soprattutto rappresentò il simbolo dell’accettazione della fede. L’evangelista Matteo, rivelando la divinità di Cristo e la missione di Maria, pose l’accento su Giuseppe chiamato ad essere consapevole collaboratore del mistero di Dio che si fece uomo. Fu definito ” Uomo giusto”.
Protegge i falegnami, i lavoratori, i papà e i moribondi. Dichiarato patrono della Chiesa Universale da Pio IX l’8 dicembre 1870, è festeggiato il 19 marzo e il 1° maggio. In suo onore, soprattutto a partire dagli inizi dell’800 sorsero sotto il suo patrocinio chiese, altari, corporazioni, confraternite ed associazioni. La larga diffusione del suo culto permise anche una vastissima produzione di immagini di piccolo e grande formato e quella di manufatti e statue di diversi materiali e grandezza. In particolare quelle in cartapesta leccese destinate alle Chiese, ai pii sodalizi e per l’uso devozionale domestico (santi in campana) e non v’è chiesa al mondo che non abbia un altare, una statua o un’immagine a Lui dedicata.
Nella città di Tricase è ampiamente raffigurato nei luoghi di culto in varie sembianze, così come nella chiesa parrocchiale di Tutino il Santo è venerato presso l’altare a lui dedicato e raffigurato in una statua realizzata negli anni ’30 del secolo scorso dal maestro cartapestaio Antonio Febbraro da Taurisano (1885- 1965) per devozione di Addolorata Alfarano di Tutino.
L’impostazione iconografica ricalca principalmente i lineamenti classici rilevati quasi in tutte le immagini che si conoscono tranne qualche variante. Rappresentato quasi sempre in una posizione statica, insieme al Bambin Gesù che sorregge tra le braccia per il suo ruolo che ebbe di padre putativo, dal volto di uomo maturo, capelli folti ondulati e barba ricciuta, tunica color violaceo, mantello color senape e un virgulto di mandorlo fiorito.
Un’opera di discreta fattura restaurata nel 1997 nella bottega dei F.lli Gallucci di Lecce è attualmente conservata in una nicchia a muro nella sagrestia della chiesa parrocchiale e si presenta in buone condizioni.
San Giuseppe, statua in cartapesta, chiesa Madre di Tutino
  L’ altare del Santo, del XVIII sec., privo di ornamenti architettonici si presenta nella sua classica semplicità; ha una mensa con due bassi dossali dai quali si innalzano due colonne in pietra leccese lisce con base e capitelli corinzi che sorreggono a loro volta un architrave sul quale è riportato il nome del benefattore, Francesco Saverio Forte, e l’anno di dedicazione, 1838.
Completano lo schema semplice e lineare dell’altare la piccola tela della Madonna del Carmine posta in alto tra due volute fogliate e quella al centro del Santo della prima metà del XIX sec. di ignoto autore, nella quale predomina la scena con Giuseppe seduto su una panca di legno, con sguardo intenso che sembra rivolto agli astanti, vestito con tunica color turchese e mantello color senape con effetti chiaroscurali, i piedi calzati da sandali. Sulle ginocchia sorregge il piccolo Gesù seduto su due cuscini ricamati, che con affettuosità sembra regalare una carezza al padre, mentre ai suoi piedi una cesta in vimini colma degli attrezzi di falegname identifica la sua mansione terrena; al lato della panca un libro chiuso alludendo a quello della Bibbia. Sul tavolo bardato da una tovaglia bianca con ampio merletto un angelo ha donato a Giuseppe un serto di fiori disposti su un vassoio, mentre sullo sfondo da una finestra si intravede un paesaggio collinare non del tutto locale.
Un drappeggio semiaperto sulla sua sinistra colma l’ambientazione domestica e dal quale due cherubini si sporgono delicatamente ad osservare la scena.
Recentemente, dai test eseguiti con alcune aperture stratigrafiche, si è potuto verificare che, sottostanti gli strati di calce, sono presenti le decorazioni originali dell’altare che in un prossimo futuro ci auguriamo vengano riportate in luce.
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swapmuseum · 6 years ago
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SCOPRI I LAVORI DI GAIA PER  “PAROLE E RACCONTI DI CARTAPESTA” AL MUSEO DELLA CARTAPESTA DI LECCE
IL MUSEO
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Situato all’interno del suggestivo Castello Carlo V di Lecce, il Museo della Cartapesta racconta la storia dell’artigianato artistico leccese che sin dal settecento ha fatto del capoluogo un’eccellenza nel panorama mondiale.  Il percorso espositivo diviso per sale, raccoglie circa cento opere dei più importanti cartapestai della Terra d’Otranto supportate da pannelli espositivi e multimediali.  A queste si aggiunge una sezione dedicata all’arte contemporanea con artisti internazionali come Emilio Farina e la brasiliana Lucia Barata, che hanno sperimentato l’uso della cartapesta nelle proprie ricerche. Il museo, essendo inserito in uno degli attrattori turistici principali di Lecce, è servito da un Infopoint e da un Bookshop. Inoltre al suo interno è predisposto uno spazio per l’organizzazione di laboratori tematici.
L’ATTIVITÀ:   Creazione di QR code per far "parlare le statue" all’interno del museo.
LE ORE: 30 ore
I PREMI: buono per acquisto libri
La SWAPPER:
GAIA TUNDO, 16 anni, frequenta il Liceo Classico. Ama leggere e guardare le serie tv, ma la sua più grande passione è la danza.
I RISULTATI:
Durante la visita guidata Gaia è stata particolarmente colpita  dalla statua in cartapesta che rappresenta la Madonna della Cintura. Ha scelto perciò questa statua come punto di partenza per il percorso all’interno del museo. Inoltre ha deciso di proseguire illustrando la tecnica alla base della lavorazione della cartapesta e i principali artisti cartapestai leccesi. Il tutto è stato registrato e le tracce sono state abbinate ad un qr code apposto nel museo.
GAIA SU SWAPMUSEUM
“Organizzare il lavoro, ricercare informazioni, elaborare testi, cercare di rendere il più intrigante e avvincente possibile ciò di cui si parla.. sono tutte tecniche di studio utili per qualsiasi ambito della vita”
I LAVORI
Per ascoltare l’audioguida realizzata da Gaia, clicca qui.
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sciscianonotizie · 7 years ago
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salentipico-blog · 7 years ago
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A partire da Sabato 22 e fino alla fine di settembre la Soprintendenza effettuerà una serie di aperture straordinarie del Museo della Cartapesta nel Castello Carlo V a Lecce.
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La produzione scultorea in cartapesta, nata come arte povera ed effimera, a Lecce raggiunge fin dal 700 la dignità di arte autonoma con l’affermazione di una vera e propria scuola originale, svincolata da quella napoletana e incentrata sul principio della sperimentazione di nuove tecniche. Il Museo della Cartapesta di Lecce è dunque una testimonianza importante di un particolare genere artistico strettamente legato alla storia della Terra d’Otranto, che si prefigge l’obiettivo di trasmettere, oltre alle testimonianze artistiche, anche la genesi e la vitalità contemporanea di opere nate da stracci di carta e lavorate con ferri arroventati. Il Museo, che si presenta con un nuovo allestimento, presenta tre diverse articolazioni: la sala espositiva che raccoglie opere dal XVIII al XX secolo ospita anche una sezione dedicata alla ‘bottega’ in cui è possibile vedere gli attrezzi utilizzati dai maestri cartapestai, le tecniche e le fasi di lavorazione; nei locali della splendida Cappella di S. Francesco, con un suggestivo accostamento all’altare barocco, sono esposte le figure presepiali dell’inizio del ‘900; infine la terza sezione ospita le opere contemporanee di Lucia Barata ed Emilio Farina.
“È una buona notizia per la città e per quanti visitano Lecce nel periodo estivo – dichiara il sindaco Carlo Salvemini – Il Museo della Cartapesta nel Castello Carlo V costituisce un bene culturale prezioso, necessario per testimoniare e diffondere la conoscenza di una parte fondamentale della tradizione artistica leccese. Lo sforzo che la Soprintendenza compie con le aperture straordinarie va in questa direzione e la città non può che esserne riconoscente. Questa iniziativa, con le aperture straordinarie delle Mura Urbiche e dell’ex Convento degli Agostiniani, che proseguiranno fino alla definitiva messa a punto di un progetto stabile di gestione, arricchisce l’offerta culturale della città, offre la possibilità di arricchire gli itinerari turistici e contribuisce a rendere ancor più vivo e attrattivo il Castello Carlo V. I leccesi possiedono uno straordinario patrimonio culturale, spetta alle istituzioni pubbliche renderlo fruibile consentendo alla città di crescere dal punto di vista culturale ed economico”.
Il Museo della Cartapesta, aperture straordinarie fino a settembre
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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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La cartapesta leccese. Il Crocifisso del gruppo dei Misteri di Latiano
ph Vincenzo D’Oria
  di Domenico Ble
Il Crocifisso in cartapesta, conservato a Latiano, all’interno della cappella dei Misteri, nella chiesa di Sant’Antonio, secondo quanto riportato nel Vol. III, Beni Culturali di Latiano, è opera di Eugenio Maccagnani [1].
Lo scultore ha rappresentato Gesù in croce privo di vita; la drammaticità del momento è evidenziata dal capo chinato verso il basso, dalla presenza della ferita sul costato e dalle braccia tese per il peso del corpo esangue, che si inarca nella caduta.
Il maestro ha lavorato minuziosamente nella resa dei particolari, fra cui in particolare la raffigurazione delle ferite inferte dagli aguzzini sul corpo straziato, grondante sangue, la corona di spine, la barba, i capelli, il panneggio del perizoma.
La tragicità del supplizio è esaltata dalla mirabile anatomia umana, particolarmente riuscita in alcuni particolari corporei come le costole che si intravedono e la muscolatura ben equilibrata e proporzionata.
Rispetto alle altre statue facenti parte del gruppo scultoreo dei Misteri, il Crocifisso ha una fattura stilistica differente e di grande pregio, anche perché attraverso le forme, le quali sono ben calibrate, si riesce a percepire ed a sentire il dramma epocale. La si può far rientrare tra la pregiata produzione scultorea in cartapesta salentina del XIX e XX secolo.
L’opera fu aggiunta ai restanti manufatti probabilmente nello stesso periodo in cui furono realizzate quelle raffiguranti Gesù nel Getsemani, il Cristo alla colonna, l’Ecce Homo e la Vergine Addolorata, anche queste in cartapesta, ma di fattura evidentemente inferiore.
Non sembri superfluo ricordare come la produzione in cartapesta conobbe l’inizio del successo già a partire dal XVIII secolo, e particolarmente con Mauro Manieri, celebre architetto della stagione del “barocco leccese”, cui sono attribuiti un S. Pasquale Baylon a Gallipoli, un S. Nicola da Tolentino a Manduria, il gruppo conservato al Museo Castromendiano di Lecce raffigurante S. Elisabetta, la Beata Michelina e S. Ludovico da Tolosa [2]. Il successo della tecnica, era racchiuso anche nel non eccessivo costo, rispetto alle contemporanee sculture in legno o marmo, le opere in cartapesta erano inferiori di costo, ma con un grande pregio artistico.
Il vero apice di tale arte giunse nel XIX secolo. L’apprezzamento sempre più crescente, la nascita di numerose botteghe a Lecce e in tutto il Salento, fecero della cartapesta un’arte ben consolidata, che continuò fino a buona parte del XX secolo. In questo panorama di grande fervore artistico ritroviamo la famiglia dei Maccagnani, in particolare Antonio e il nipote Eugenio, due figure di grande rilievo, distanti anagraficamente l’una dall’altra.
Antonio, la cui produzione fu molto apprezzata,  nacque nel 1807 e apprese l’arte della cartapesta presso la bottega di Pietro Sorgente [3]. Eugenio nacque nel 1852 ed ebbe la prima formazione presso la bottega dello zio paterno Antonio, rispetto al quale la fortuna artistica fu maggiore, tanto da avere notorietà a livello nazionale ed internazionale, grazie anche al curriculum di tutto rispetto. Partì come cartapestaio, ma divenne abile e celebre come scultore del marmo.
Si perfezionò a Roma, presso l’Accademia di S. Luca, nel 1878 partecipò con sue opere all’Esposizione universale di Parigi, nel 1880 all’Esposizione nazionale di Torino, nel 1883 all’Esposizione internazionale di Roma; nel 1884, sempre a Roma, lavorò al Vittoriano.
Numerosi sono anche i suoi monumenti pubblici, fra cui il celebre Monumento equestre a Giuseppe Garibaldi e il busto di Vittorio Emanuele III per la Camera dei Deputati, oltre a vari monumenti funerari e opere a tematica sacra [4].
  [1] Beni Culturali di Latiano. Le chiese e il patrimonio sacro. Vol. III, 1993, Biblioteca Comunale di Latiano, p. 176;
[2] G. DE SIMONE, Tesori di carta. Le raffigurazioni sacre in cartapesta nelle chiese antiche di Lecce, Edizioni del Grifo, Lecce, 2002, p. 16;
[3] G. DE SIMONE, 2002, p. 144;
[4] A. IMBELLONE, Maccagnani Eugenio in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 66, 2006, p.
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fondazioneterradotranto · 8 years ago
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Una statua del cartapestaio leccese Giuseppe Manzo in provincia di Catania
Giuseppe Manzo (riproduzione vietata)
di Antonio A. M. Zappalà
Pasqua 1922 – Pasqua 2017! Cosa lega le due ricorrenze? Apparentemente nulla o meglio soltanto la coincidenza dello stesso giorno, il 16 aprile. Ma per la comunità di Biancavilla, in provincia di Catania, questa data segna un felice anniversario da ricordare.
Sono trascorsi infatti 95 anni da quando è presente la statua della Madonna Annunziata protagonista insieme al Cristo Risorto e all’Arcangelo Gabriele della sacra rappresentazione de ‘a Paci che avviene ogni anno la Domenica di Pasqua a Biancavilla. È mezzogiorno quando, in un tripudio di un popolo in festa in piazza Collegiata prima e in piazza Annunziata poi, dinanzi la chiesa Madre “Santa Maria dell’Elemosina” avviene l’incontro tra il Cristo Risorto e la Vergine Maria, nell’esultanza dell’Angelo. Questa è ‘a Paci.
Anche se il termine può sembrare strano, sebbene tra la Madonna e il Cristo certamente non ci sia stato alcun litigio da preludere uno scambio di pace, probabilmente è stato tramandato sino ai nostri giorni per trasmettere il vero significato della Pasqua, ovvero, un augurio di pace e con la cancellazione di tutti i rancori e le inimicizie.
Protagonisti della sacra rappresentazione biancavillese, sono tre statue: quella del Cristo Risorto portata a spalla dai confrati dell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento che indossano la cappa bianca e la mozzetta di colore rosso; quella della Vergine Maria portata a spalla dai componenti dell’Arciconfraternita dell’Annunziata, caratterizzati dalla mozzetta di colore celeste e quella dell’Angelo portata anch’essa a spalla da cittadini non appartenenti a nessuna confraternita.
A distanza di 95 anni la redazione di Video Star, emittente televisiva locale, è riuscita a risalire a colui che ha realizzato la statua della Madonna Annunziata sino ad oggi sconosciuto alla comunità. La redazione è entrata in possesso di documenti storici che hanno permesso di ricostruire l’iter che portò l’artista Giuseppe Manzo a realizzare il simulacro che oggi si vede in processione.
Era il marzo del 1922, quando l’allora rettore della chiesa Annunziata, il canonico Antonino Distefano, commissionò la nuova statua poichè gli antichi simulacri risultavano ormai non idonei alla sacra rappresentazione pasquale a causa dell’usura del tempo.
La statua della Madonna fu realizzata dalla ditta “Arturo Troso” di Lecce fondata nel 1902, che la spedì per mezzo ferrovia, il 22 marzo del 1922. Nella lettera di accompagnamento scritta dal Arturo Troso si legge: ”Son sicuro quindi che il lavoro sarà di piena soddisfazione sua, dell’illustrissimo signor Sindaco e di tutta l’intera popolazione, essendo stato eseguito con diligente cura e scrupolosità”. Inoltre, in allegato, accludeva la fattura con la descrizione della statua: alta 1 metro e 80 centimetri, lavorata in cartapesta con occhi di cristallo di Germania e decorazioni, una raggiera, per una spesa totale di 845 lire compreso l’imballaggio.
Nella bottega di Arturo Troso lavorava su commissione l’artista Giuseppe Manzo, di fama internazionale con una carriera densa di lavori e riconoscimenti. E fu proprio lui a realizzare fattivamente la statua della Madonna Annunziata.
Nel 1943, dopo la morte di Giuseppe Manzo, la sua bottega continuò ad operare per merito del figlio e del nipote fino al dicembre 1959, anno in cui, la storica fucina della cartapesta in via Paladini, chiuse per sempre i battenti.
Oggi sia la bottega del maestro Manzo che quella della ditta Troso non esistono più e quest’arte semplice e paziente della cartapesta a Lecce resta solo un ricordo. Nel corso degli anni ad essere interessato di restauro è stato tutto il gruppo statuario protagonista della Pasqua a Biancavilla. Nel gennaio del 1993, il professore Salvatore Mazzone, si è occupato del restauro del volto della Madonna Annunziata che si presentava danneggiato a causa del tradizionale contatto con il Cristo Risorto come avviene ogni anno. Altro intervento da parte del maestro Antonino Vaccaielli sull’intero simulacro della Vergine Maria è stato fatto nel 2003.
‘A Paci! Una manifestazione che a distanza di tempo si ripete anno dopo anno a Biancavilla, immutata nei decenni, grazie ai protagonisti sin qui narrati e che hanno lasciato in eredità un gesto d’amore nel segno della continuità alle generazioni future.
Su Giuseppe Manzo vedi i nostri articoli:
http://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/09/giuseppe-manzo-1849-1942-e-la-cartapesta-leccese-prima-parte/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/12/giuseppe-manzo-1849-1942-e-la-cartapesta-leccese-seconda-parte/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/15/giuseppe-manzo-terza-parte/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/18/giuseppe-manzo/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/24/manzo-ultima-parte/
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fondazioneterradotranto · 5 years ago
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Nardò, San Biagio nella chiesa di Santa Teresa. Si rinnova il rito della benedizione della gola
Dopo il culto e il protettorato di san Gregorio l’Illuminatore, che si festeggia il 20 febbraio, la città di Nardò celebra un altro santo dell’Armenia, Biagio, vissuto tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia. Per sua intercessione si rinnova, come ogni anno, l’antichissimo rito della benedizione della gola nella chiesa di Santa Teresa.
Tra i quattordici santi ausiliatori, patrono degli otorinolaringoiatri, i fedeli si rivolgono a San Biagio, medico in vita, per la cura dei mali fisici e particolarmente per la guarigione dalle malattie della gola, tanto che tra i diversi miracoli a lui attribuiti si menziona a simbolo quello del salvataggio di un bambino col rischio di soffocamento a causa di una lisca di pesce.
Il suo martirio, avvenuto intorno al 316, è da ricollegare al rifiuto di abiurare la fede cristiana. La leggenda riporta che fu decapitato dopo essere stato a lungo torturato con pettini di ferro che gli straziarono le carni. Lo strumento del martirio fu preso a simbolo del santo e poiché simile a quelli utilizzati dai cardatori di lana e dai tessitori, questi ultimi lo vollero designare quale loro protettore. Il corpo fu sepolto nella cattedrale di Sebaste. Nel 732 una parte dei suoi resti mortali furono imbarcati per essere portati a Roma. Una tempesta bloccò il viaggio a Maratea (Potenza), dove i fedeli accolsero le reliquie; lo elessero protettore e ne conservarono parte dei resti (torace) nella basilica sul monte San Biagio (a Carosino, provincia di Taranto, è custodito un pezzo della lingua, chiuso in un’ampolla incastonata in una croce d’oro; a Ostuni si conserva un osso usualmente posto sulla gola di ogni fedele in pellegrinaggio al santuario; nella cattedrale di Ruvo di Puglia si venerano i resti del braccio esposti entro un reliquiario a forma di arto benedicente).
In provincia di Lecce, oltre al culto riservato a Nardò, è nota la devozione degli abitanti di Salve nel cui territorio ricade la masseria e la cappella di Santu Lasi, termine dialettale con cui si designa il santo.
Il motivo dell’antica venerazione nella chiesa di Santa Teresa a Nardò potrebbe ricollegarsi non tanto alla protezione per le comuni malattie delle prime vie aeree, quanto alla grave malattia infettiva della difterite, di cui sono accertate epidemie nel XVII secolo in città e che procurarono non pochi lutti, specie tra i più piccoli, di solito morenti per asfissia.
Non è da escludere che il particolare culto cittadino sia strettamente collegato con la locale famiglia dei baroni Sambiasi, anticamente Sancto Blasio, i cui discendenti fecero realizzare in suo onore ben due chiese.
La prima fu fatta costruire nel 1623 dal barone Giuseppe Sambiasi sull’attuale Via De Pandi, che la istituì con atto notarile del 10 aprile, ad laudem et gloria di S. Biagio, dotandola di 48 ducati di annuo censo. Della chiesa, aperta al culto fino alla metà del secolo XIX, oggi non restano che i muri laterali e parte della volta. I fregi e i decori in pietra leccese sopravvissuti documentano quanto fosse valida dal punto di vista artistico.
L’altra chiesetta, comunemente detta di S. Biagio in Via Lata, per distinguerla dalla precedente, fu edificata nel secolo precedente dalla nobile famiglia Chiodo, nel pittagio San Salvatore.
Pur se non frequentissima, l’iconografia a volte ritrae Biagio come santo guaritore e intercessore, altre ancora nel momento del martirio, più spesso come vescovo, con mitra, pastorale e libro, a mezzo busto o a figura intera.
A Nardò si contano due raffigurazioni scultoree del santo armeno, entrambe in cartapesta policroma. Una certamente proviene da abitazione privata, anche se attualmente custodita nella chiesa di San Giuseppe, forse donata dal proprietario; l’altra è oggetto di venerazione da parte dei fedeli nella chiesa di Santa Teresa e veniva portata in processione il 2 febbraio.
A grandezza naturale, quest’ultima è eccellente cartapesta policroma. Il santo, a figura intera, caratterizzato dalla folta barba grigia come nel primo, indossa i paramenti vescovili orientali con la caratteristica mitra sormontata dalla croce, il pastorale dalle estremità ricurve verso l’alto, il classico omoforion (lunga sciarpa ornata di croci). La mano destra rivolta in alto e l’espressione estasiata del bambino indicano che il miracolo è già avvenuto e il santo, pur continuando a fissare il piccolo, sembra congedarsi dopo aver ringraziato il Padre per l’evento miracoloso appena compiuto. Un’iscrizione sul basamento documenta che fu realizzata a spese dei fedeli neritini nell’anno 1888, dal validissimo Antonio Maccagnani (1807-1892) o dal più giovane Achille De Lucrezi (1827-1913). La resa plastica, i particolari assai curati e i tratti somatici delle due figure, ma anche l’equilibrio fra le parti e la posa ieratica del santo, portano a considerare l’opera tra le più qualificate dei migliori cartapestai leccesi.
Il rito della benedizione della gola da parte dei sacerdoti e diaconi viene esercitato il 3 febbraio, sin dalle prime ore e fino a tarda serata, e i festeggiamenti in onore del santo sono preceduti da un triduo, che si tiene nella medesima chiesa di Santa Teresa, per interessamento e cura della confraternita del SS.mo Sacramento.
Marcello Gaballo
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